Jerry Jeff Walker 1942 – 2020

But if I die before my time

When I leave I’m leaving nothing behind 

Cause I got a feeling

Something that I can’t explain

It’s like dancing naked

In that high hill country rain

I ain’t worried ‘bout tomorrow

I’ll get by best I can

Lovin’ is my will to live

It makes me laugh

Want to sing and dance

Clap my hands, yeah!

Aveva gli occhi buoni, al riparo della tesa dello Stetson o di un occhiale dalle lenti scure. E un sorriso arrendevole. Io sapevo della sua riluttanza ai lunghi viaggi, soprattutto in aereo. Ma cosa potevo fare? Avevo scoperto l’altra faccia del country, vent’anni prima, proprio grazie a lui. E mi piaceva da morire. Lui, non Willie Nelson, non Guy Clark, mi aveva fatto scoprire il Texas e quella città, Austin, una capitale che nemmeno sapevo esistesse. E in una Bologna così diversa e così lontana dalle High Hill Country e da Luckenbach e Terlingua, dove di corazzato giravano i furgoni della Celere e di armadilli nemmeno una traccia, in quella Bologna andavo in cerca dei suoi album, roba che pochi negozi tenevano e che nessuno, o quasi, voleva.

Cosa potevo fare allora, seduto lì davanti a lui, nel suo studio, se non proporgli di venire a suonare proprio lì, a Bologna o a Ferrara. Di saltare su un aereo, lui e la premurosa Susan e fidarsi di me? Di me, che a stento ricordava chi fossi, un giornalista italiano piovuto lì chissà perché, in un caldo pomeriggio di marzo, per una intervista che aveva interrotto la sua amatissima siesta pomeridiana.

Non mi disse di no. Con un sorriso e quegli occhi buoni nascosti dalle lenti da sole, mi disse che non era mai andato così lontano a suonare. Mi chiese se ero davvero convinto che ci sarebbe stato qualcuno ad ascoltarlo, ridendo alle mie rassicurazioni. Poi parlammo d’altro. Parlammo di lui, del suo modo di intendere la vita e la musica, di Django, il figlio, che stava per pubblicare il suo primo lavoro, di Dylan e Sammy Davis jr, di WIllie Nelson e Michael Martin Murphy, di Austin e del Belize, la sua casa lontano da casa. Mi regalò una scatola di CD, perché quando mai avrò il tempo di sentirli, come se il mio parere contasse qualcosa. Prendili tu, che sei un giornalista, ne farai certamente un uso migliore. E poi tornò Susan e le raccontò serio di questo tour italiano. Un paio di date, solo noi due e la chitarra.

Non sono mai riuscito a portarlo qui. Non c’è riuscito nessuno, purtroppo. Ma per qualche mese sembrava che potesse accadere. La sera andai al suo concerto. Avevo la t-shirt dell’album che stava per uscire. Appena arrivate dalla fabbrica, mi disse ridendo. Ero sotto al palco e mi guardavano tutti. E quando andò al microfono, mi fece un cenno d’intesa. Ero un buckaroo. Il più felice dei buckaroos. Anche di questo ti sono grato, Gypsy Songman. Continua a ballare nudo sotto la pioggia delle High Hill Country. 

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