Jennifer Warnes – Another Time Another Place (BMG, 2018)

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Sono trascorsi 17 anni dall’ultima volta in cui Jennifer Warnes ha consegnato un album alle cronache musicali. Non ha mai avuto fretta Jennifer, e ci ha abituati ad aspettare che la vita, e le  canzoni che incontrava, si incrociassero per fermarsi in un progetto discografico o anche solo una collaborazione. Questo Another Time Another Place, nel gioco delle apparenti casualità che punteggiano l’esistenza delle donne e degli uomini di questa terra, assume inoltre, e del tutto involontariamente, il carattere di una inevitabile celebrazione. 

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Another Time Another Place finisce infatti per celebrare mezzo secolo di musica, a partire da quel I Can Remeber Everything che nel 1968 consegnava al mondo una giovane interprete ancora alla ricerca della propria cifra stilistica, ma già in grado di lasciarsi condurre da una non comune sensibilità di interprete, nel misurarsi con autori come Joni Mitchell o i Rolling Stones. Una celebrazione difficilmente preordinata, visto che ci sono voluti tre anni per completare l’album. Ancora una volta, la vita e i suoi accadimenti, hanno dettato i tempi di lavoro di Jennifer. In questo caso una tragica serie di perdite di persone a lei vicine, solo l’ultima delle quali Leonard Cohen. 

Anche per queste ragioni, allora, appare del tutto naturale che l’apertura sia affidata ad una elegiaca e toccante rilettura di Just Breathe, di Eddie Vedder, dove amore e dolore si uniscono nella sintonia di un respiro, quello letterario del testo e quello, aereo, del canto, un canto pieno di grazia e di compassione. 

Con un solo un brano a sua firma, la splendida ballata The Boys And Me, e affidandosi alla sensibilità di un vecchio collaboratore, il produttore Roscoe Beck (ex bassista di Leonard Cohen, già al suo fianco in Famous Blue Raincoat e The Hunter), Jennifer Warnes sceglie altri nove brani tra loro eterogenei, riconducendoli ad unità artistica nella profondità di interpretazioni sensibili, dolenti, agroamare, sensuali, autorevoli. La potente affermazione di Freedom, giocata con un coro di voci dall’enfasi gospel, si incrocia con l’indolenza country soul di Back Where I Started, dal repertorio di Tedeschi e Trucks, con la melanconia carezzevole di So Sad, di Mickey Newbury, con il crooning di Tomorrow Night, con la seduzione sensuale di The Big Easy, di Ray Bonneville.

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Ogni volta diversa, ma ogni volta sé stessa, Jennifer Warnes riempie di empatia e autorevolezza l’anima profonda di canzoni che non sono state scritte per lei, ma dalle quali si lascia condurre, modulando con sapienza il proprio maturo timbro di contralto e, nel farlo, si reinventa, brano dopo brano. E’ il dono, raro e prezioso, dell’interprete, è la matematica del cuore. 

 

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